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In Breve

| 24 dicembre 2016, 15:04

Toro, bilancio di fine anno in chiaroscuro

La vittoria sul Genoa ha permesso di restare agganciati al treno dell’Europa, ma a dicembre la squadra ha perso gioco e sicurezze: aspettando il mercato, toccherà a Mihajlovic rimettere la nave sulla giusta rotta

Toro, bilancio di fine anno in chiaroscuro

La sfida del prossimo 8 gennaio contro il Sassuolo al Mapei Stadium sarà la prima del 2017 per il Toro e l’ultima del girone d'andata. Ma già adesso, arrivati praticamente al giro di boa, è tempo di bilanci, approfittando della sosta. Una pausa natalizia arrivata al momento giusto per i granata, che solo grazie alle parate di Hart nel primo tempo e al guizzo del solito Belotti nella ripresa hanno evitato che il dicembre nero si concludesse con un’altra delusione.

Dopo 18 giornate, la classifica è in linea con le aspettative di inizio stagione, quando Mihajlovic per primo aveva parlato di un Toro che inseguiva l’Europa già da questa stagione. Il problema è che la squadra ha viaggiato come su un ottovolante: male le prime cinque giornate, con una sola vittoria all’attivo, complici le tante assenze sul fronte offensivo (Belotti, Ljajic, Maxi Lopez) e la necessità di amalgamare al meglio una rosa rinnovata per oltre la metà rispetto al campionato precedente. Bene nel troncone centrale: da fine settembre a fine novembre la squadra di Mihajlovic ha viaggiato a ritmi da Champions, perdendo una sola volta, a San Siro contro l’Inter, conquistando scalpi eccellenti (Roma e Fiorentina) e vincendo talvolta anche di goleada (Palermo e Cagliari). Malissimo nell’ultimo mese del 2016: tre sconfitte su quattro partite e se non si è fatto poker è per la leggerezza offensiva del Genoa e l’implacabilità di Belotti sotto porta.

Mihajlovic già prima della trasferta di Napoli invocava rinforzi, ma dovrebbe ricordarsi che giovedì sera il suo collega Juric nel finale di partita ha dovuto ricorrere ad un ragazzino di nemmeno 16 anni (Pellegri) per provare a pescare qualcosa dalla sua panchina. Ventura, che in tre anni ha portato il Toro dalla serie B alla Europa League, mai aveva chiesto aiuto alla società in maniera così plateale, pur avendo acquisito sul campo meriti ad oggi ancora sconosciuti al suo successore. Che sta facendo complessivamente bene, ma con una rosa che è sicuramente più qualitativa dell’ultima messa a disposizione di Ventura.

Se Belotti oggi è il miglior attaccante italiano, se Zappacosta e Benassi sono arrivati a respirare l’aria della nazionale maggiore e Barreca è diventato titolare nel Toro e nell’Under 21, vuol dire che Mihajlovic sta lavorando bene sui giovani, ma non dimentichiamo chi prima di lui aveva lavorato su un materiale ancora grezzo e l’ha poi consegnato a chi è arrivato dopo, avendo fatto tutto il “lavoro” sporco. Il Toro finora ha avuto poco dalle cosiddette seconde linee, lo dicono i numeri più delle parole di Mihajlovic, che d’altra parte sarebbe masochista a far giocare (da tre mesi in qua) sempre gli stessi, se avesse ricambi all’altezza. Ma non è denigrando pubblicamente gli Obi, gli Acquah, i Martinez, i Maxi, oltre ai veterani fedelissimi di Ventura che si cementa lo spirito di gruppo.

Il Toro ha bisogno di un paio di puntelli, se l’obiettivo è provare a correre fino alla fine per l’Europa, perché quest’anno si viaggia più forte là davanti e bisognerà superare nettamente quota 60 per accalappiare il sesto posto. La difesa è il reparto che necessita di maggiori interventi, ma talvolta andrebbe anche protetta meglio. Possibile che il Toro abbia un solo modulo di gioco e non conosca varianti tattiche? Non è pensabile che affrontare il Napoli come se fosse il Crotone, non si può giocare contro la Juve allo stesso modo con cui si è scesi in campo contro il Cagliari. Qualche accortezza maggiore avrebbe forse regalato due-tre punti in più ai granata.

Ora la società deve fare il suo, accontentando Sinisa. Ma Mihajlovic deve trovare la maniera di valorizzare al meglio le risorse che ha già a disposizione ed evitare che il Toro debba sempre segnare due gol a partita per non correre rischi.

Massimo De Marzi

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