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In Breve

| 10 gennaio 2017, 07:55

Toro, per inseguire l’Europa bisogna cambiare marcia. Soprattutto in trasferta

Il miglior girone d’andata dell’era Cairo (premiato come miglior manager del web 2016) si è concluso con il freno a mano tirato. Senza un paio di rinforzi di qualità difficile migliorare l’attuale piazzamento

Toro, per inseguire l’Europa bisogna cambiare marcia. Soprattutto in trasferta

E’ la vecchia storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di come lo si vede. I 29 punti alla fine del girone di andata rappresentano per il Toro il miglior bottino da quando la serie A viaggia coi tre punti (1994/95), mai nell’era Cairo (premiato come miglior manager del web 2016 dalla classifica redatta da Reputation Manager per Affari e Finanza, preceduti Recchi e Marchione) si era fatto così tanto al giro di boa, neppure nella stagione che poi si concluse -  (complici le disavventure del Parma - con la qualificazione in Europa League. Tre anni fa Cerci, Immobile e compagnia virarono a quota 26, il problema è che in questa stagione davanti viaggiano a mille.

Mihajlovic ha parlato di 66-68 punti per centrare l’obiettivo, ad oggi la proiezione finale sarebbe addirittura di 70 punti, in ogni caso bisognerà andare ben oltre quota 60. Perché davanti, oltre alle prime tre della stagione scorsa, ci sono le milanesi alla riscossa, una Lazio che sotto la guida di Simone Inzaghi ricorda quella che, nel 2015 con Pioli, si qualificò per il preliminare di Champions e poi l’Atalanta delle meraviglie di Gasperini.

Ecco, proprio il baldanzoso cammino dei bergamaschi, che nelle prime cinque giornate avevano perso quattro volte, ma che da lì in avanti hanno iniziato a viaggiare a mille, deve far capire cosa manca ancora al Toro per fare il salto di qualità. L’Atalanta gioca un calcio spumeggiante, cerca sempre i tre punti sia in casa che in trasferta, al di là dei singoli appare un gruppo coeso, dove tutti coloro che scendono in campo danno sempre il 100% delle loro potenzialità. Al Toro non sempre questo si è visto. In casa, se si eccettua la sconfitta nel derby, la squadra fa sempre risultato, gioca con personalità, segna e diverte, fuori invece spesso è timida e impacciata: due sole vittorie lontano dall’Olimpico in un intero girone, per giunta contro le ultime due della classe, sono troppo poco.

Poi ci sono i singoli: da dicembre in avanti si è visto in campo il gemello di Ljajic, perché è impensabile che quello delle ultime uscite sia lo stesso di ottobre e novembre. Abulico, incostante, talvolta imbarazzante, se persino il suo mentore Mihajlovic è arrivato a criticarlo pubblicamente, pure con toni molto duri, significa che la misura è colma. Anche Iago Falque è apparso meno brillante nelle ultime uscite, solo il Gallo non tradisce mai, ma il Toro non può pensare che Belotti segni tutte le partite. Adesso alle spalle del trio delle meraviglie c’è Iturbe, ma occorre trovare almeno un rimpiazzo di qualità ai tre di centrocampo e serve un uomo di valore anche per guidare la difesa.

Se l’obiettivo è restare nella colonna di sinistra, così come è adesso il Toro basta e avanza, ma se si vuole scalare la classifica e inseguire la zona Europa, senza auspicare crolli o disavventure altrui, serve altro. A Cairo e Petrachi l’onere di trovare gli uomini che servono al salto di qualità, a Mihajlovic il compito di fare del Toro un’Atalanta, capace sempre e comunque di giocare al 100%, magari ricorrendo alla panchina senza aspettare sempre gli ultimi venti minuti. Tra giovedì (ottavo di finale di Coppa Italia) e lunedì 16 (prima giornata di ritorno), contro il Milan il Toro si gioca molto, moltissimo. Almeno una delle due gare va vinta, per non aumentare la classifica dei rimpianti: il pareggio di Sassuolo sono stati due punti persi, non uno guadagnato.

Massimo De Marzi

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