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In Breve

| 06 giugno 2017, 13:29

"Sabato sera in Piazza San Carlo ha vinto il terrore"

Il racconto di Giorgio Remuzzi, nostro inviato sabato sera in Piazza San Carlo: "Non so come sia uno scenario di guerra, ma non lo immagino molto diverso da ciò che ho visto per le strade di Torino sabato sera"

"Sabato sera in Piazza San Carlo ha vinto il terrore"

Sono passati ormai quasi tre giorni dall'episodio di Piazza San Carlo a Torino. Sono stati analizzati i video fatti dai presenti, dai giornalisti e dagli organizzatori, ascoltate persone in questura e addirittura qualche "testata" giornalistica ha trovato il colpevole in un un ragazzo a mani alzate in mezzo alla piazza, probabilmente l'unico a non essere stato investito dall'onda di panico e di persone. Sabato in quella piazza c'erano trentamila persone, molte delle quali presenti sin dalle prime ore del mattino, quando ancora non erano iniziati i controlli ai cinque varchi di accesso alla piazza.

Chi è giunto all'evento molte ore prima dell'inizio della partita ovviamente è arrivato organizzato: pranzo al sacco, bottiglie d'acqua, pallone, bandiera bianconera, trombetta, mazzo di carte; insomma qualsiasi cosa che serva a combattere la noia e che aiuti ad arrivare alle 20 e 45.

I tifosi arrivati, nonostante il morale alle stelle, già dalle ore 18 accusavano i primi malori dovuti alla disidratazione e al sovraffollamento. Passando davanti alla transenne sotto il maxischermo i tifosi erano in cerca disperata di acqua e a pochi metri da loro giravano venditori ambulanti provvisti di birre ed acqua, ma per chi era nelle prime file abbandonare il proprio posto voleva dire buttare all'aria ore di appostamento, molto più facile chiedere ai giornalisti, posizionati davanti a loro, qualcosa da bere, anche se con scarsissimi risultati. Già a questo punto la situazione non sembrava idilliaca, ma chi è abituato a vivere manifestazioni di piazza o concerti sa che c’è da soffrire mentre si aspetta l'inizio dello show.

Alle ore 19 ho deciso di abbandonare l'area riservata ai giornalisti per capire come fosse la situazione: se nel pomeriggio la piazza era stracolma, nei momenti appena prima del fischio d'inizio la piazza pullulava di anime, non c'era un centimetro libero. Ho deciso di tornare nell'area stampa, pensando al grande cuore di chi stava vivendo un'esperienza sgradevole solo per vedere la Juventus, e dicendomi tra me e me "se per vedere la partita dalla piazza dovessi sgomitare o arrampicarmi sul monumento meglio il divano e la televisione".

Intanto la partita stava per iniziare. Il primo tempo è un'altalena di emozioni ed al gol di Mandzukic la piazza esplode in un boato di felicità. Durante l'intervallo inizio ad accusare un bisogno fisico ma, notando che gli otto bagni chimici vengono presi d’assalto, rinuncio. Ricomincia la partita, la Juventus sembra essere rimasta negli spogliatoi. Subito il secondo gol il silenzio cala sulla piazza. Subiamo il terzo gol e la delusione è palpabile. A questo punto, complisce anche la disperazione per il risultato (si, sono tifoso bianconero), esco dall'aerea stampa situata praticamente sotto il maxischermo, e mi avvio verso i bagni chimici, al di fuori della piazza, cosa che non avevo potuto fare nell'intervallo.

Tempo di percorrere un metro e, senza minimamente accorgermi di ciò che stesse succedendo, vedo la folla in preda al panico correre verso l’uscita, insomma correre verso di me. Chiunque abbia visto “Il Re Leone” ha presente la scena che porta alla morte di Mufasa, accorso ad aiutare il piccolo Simba che si trovava sulla traiettoria della mandria di gnu impazzita. Io sono Simba ma nessuno verrà ad aiutarmi, devo iniziare a correre a più non posso.

Senza un secondo per riflettere mi trovo a correre all’impazzata lungo Viale Roma, sono praticamente il primo della fila perché quando è iniziato il panico ero già sulla via d’uscita ma ancora non ho la minima idea di ciò che ha scatenato tutto ciò. Provo a fermare qualche ragazzo che corre insieme a me per chiedere cosa sia successo: sguardi assenti, ragazze in lacrime, molti presentano dei tagli. Dopo vari tentativi qualcuno mi risponde: “hanno sparato dobbiamo correre!!”, “è scoppiata una bomba, corri!”, “c’è stato un attentato dobbiamo scappare”; queste sono le dichiarazioni che riesco ad ottenere.

Nella mia testa panico totale, il destino ha voluto che per andare in bagno non lasciassi lo zaino, con pc fotocamera, videocamera e chiavi della macchina, nell’area stampa ma che lo prendessi con me. Fortuna. Ho con me qualsiasi dispositivo per documentare l’accaduto, ma nella mia testa penso solo a correre e a mettermi in salvo. Lungo viale Roma i bar, ristoranti e negozi chiudono le porte, non lasciano entrare nessuno e, anziché aiutare, portano i clienti sul retro e si chiudono dentro. La situazione è surreale, non è vero quello che sta succedendo, non può essere vero. Intanto si continua a correre e poco dopo si arriva alla stazione di Porta Nuova. Qui circolano strane voci, siamo tutti convinti che ci sia stato un attentato e molti dicono di non entrare in stazione perché potrebbe essere pericoloso, potrebbero esserci altri attacchi.

Io sono da solo in una città che conosco poco (arrivo da Savona), non so dove andare ma soprattutto mi sento vulnerabile, tutti ci sentiamo in pericolo. Gruppetti di gente continuano a correre in svariate direzioni, ad ogni minimo rumore ci si spaventa e si riprende a correre, la persone provenienti da Piazza San Carlo hanno, quasi tutti, tagli ed escoriazioni.

Grazie a Dio non so come sia uno scenario di guerra, ma non lo immagino molto diverso da ciò che ho visto per le strade di Torino sabato sera. Riesco ad entrare nella hall di un hotel e vi sono diverse persone, quasi tutte scioccate.

Devo trovare un posto per stare al sicuro e così decido di chiamare un mio amico che frequenta l’università di Torino e vive lì, vicino a piazza Vittorio Veneto. Fortunatamente mi risponde e dopo una mezz’oretta riesco a raggiungerlo e a farmi ospitare in casa sua. A questo punto il mio primo pensiero è chiamare i miei genitori per dire che sto bene, che sono riuscito a salvarmi dall’attentato. Mia madre risponde al telefono allegra, sono le undici e trenta e non sa niente di ciò che è successo in Piazza San Carlo. Le racconto cosa ho vissuto ma la rassicuro dicendo che in quel momento ero al sicuro. La seconda chiamata è per il mio capo redattore, per mettere al corrente anche lui dell’accaduto, e le sue parole sono “si dice che siano scoppiate dei petardi e da lì si sia scatenato il panico, era solo uno scherzo”. Non ci credo, non ci voglio credere.  

Probabilmente non sapremo mai cosa sia veramente accaduto, se sia scoppiato un petardo, caduta una balaustra, se qualcuno abbia urlato “sono un Kamikaze” o se ci sia stato davvero uno sparo. Noi che eravamo lì, non sappiamo di chi siano le responsabilità, se ci fosse un numero massimo di persone che potevano accedere alla piazza e se fossero previsti dei piani di evacuazione.

Quello che sappiamo per certo, e ciò che abbiamo vissuto sulla nostra pelle: un sabato sera in cui ha vinto il TERRORE.

Giorgio Remuzzi

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