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In Breve

| 28 dicembre 2017, 12:00

La maledizione del Filadelfia

Inizio a pensare che su quel rettangolo delimitato dalle vie Tunisi, Spano, Giordano Bruno e Filadelfia, pesi una maledizione

La maledizione del Filadelfia

Inizio a pensare che su quel rettangolo delimitato dalle vie Tunisi, Spano, Giordano Bruno e Filadelfia, pesi una maledizione.

Sono passati solo, o forse, già sette mesi da quel festoso 25 maggio 2017, in cui la resurrezione del Filadelfia sembrava cosa fatta e i motivi per gioire erano molti, e invece ombre inquietanti si allungano sullo storico impianto. Per la carità, nulla di gravissimo o di irreparabile, anzi, magari è solo una questione fisiologica a tutte le opere nuove, che come il Fila sono state realizzate a tempo di record, che salti fuori qualche piccola magagna qui e la, ma a me da fastidio ugualmente.

Sarà che considero il Fila anche un po’ la mia creatura e quindi la vorrei vedere sempre in perfetta salute e operosa ai massimi livelli con i migliori risultati, ma ogni anche minimo intoppo, sanguina del mio stesso sangue. E quindi gli avvallamenti del piazzale d’ingresso, dovuti alle piogge che hanno fatto assestare la sabbia che sorregge le mattonelle autobloccanti, sono un’offesa che percepisco come personale. I ripetuti sopralluoghi delle varie commissioni che, facendo ne più ne meno il loro dovere, hanno evidenziato criticità e ci hanno imposto di sistemarle, per rendere l’impianto adeguato alle normative, li sento come sgarbi rivolti direttamente a me, anche se ovviamente non è così.

E soprattutto la penosa inattività della Fondazione, che vorrei fosse già al lavoro per completare il secondo lotto e iniziare a reperire fondi per il terzo, è un macigno che grava pesantemente sulla mia anima. Va da se, quindi, che ognuno di questi  problemi, ribadisco, piccoli e risolvibili, avvalorano per me la tesi della maledizione.

D’altro canto, se ripercorriamo la storia del Tempio, dalla sua inaugurazione ad oggi, è tutto un saliscendi emozionale, che fa seguire una profonda delusione ad ogni esaltante successo, un acuto dolore ad ogni intensa gioia.

Nel 1926, inaugurazione con vittoria 4-0 sulla Fortitudo Roma e chiusura di stagione con lo scudetto, il primo della storia granata. Ma subito la revoca per il caso Allemandi. L’anno successivo si replica il tricolore a dimostrazione del buon diritto al successo dell’anno precedente, ma nel 1928 il Conte Marone Cinzano, storico presidente che fortemente volle il Filadelfia e viene due scudetti per potersene fregiare di uno, lascia la guida della squadra, amareggiato per la vicenda della revoca.

Dopo qualche anno arriva Novo e crea dal nulla il Grande Torino, di cui non stiamo a ricordare le gesta, perché sono scolpite nella pietra della storia e nel cuore di tutti gli sportivi italiani, ma che chiude la sua folgorante apoteosi nel lampo di luce che squarcia l’oscurità delle nuvole di Superga.

Quindici anni e arriva Meroni e il vento del rinnovamento che sta stravolgendo il tessuto sociale nazionale, sembra voler gonfiare le vele del Toro, ma il tragico incidente di corso Re Umberto, spezza le ali della Farfalla e cancella le speranze.

Pochi anni e i ragazzi di Radice, messi insieme con pazienza e sagacia da Pianelli, riportano il tricolore sul petto dei granata 27 anni dopo il rogo, ma sei mesi dopo siamo nuovamente li, nel cortile del Fila, a rendere l’ultimo omaggio al Capitano dei capitani, Giorgio Ferrini, prematuramente scomparso.

Passano altri quindici anni, e Mondonico alza prima una sedia e poi una coppa a coronamento di un triennio entusiasmante, ma due anni dopo il Fila viene chiuso ed abbandonato, fino alla riapertura del cantiere e alla rinascita odierna.

Insomma, un saliscendi di emozioni senza pari al mondo, cosa da stroncare le coronarie anche dei più forti cuori granata e far gridare alla maledizione senza tema di smentita o di esagerazione.

Oggi, passata la marea montante della rinascita, siamo al reflusso della marea calante, ma con la consapevolezza, anzi, la certezza che l’alternanza ha i suoi ritmi e quindi la sorte tornerà a sorriderci.

Basta avere la pazienza di attendere, perché la notte non è mai abbastanza lunga per impedire al sole di risorgere e la Fede, che ci ha sempre sorretto in questi lunghi anni bui, continuerà a illuminare il nostro cammino.

Domenico Beccaria

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