- 29 marzo 2018, 10:05

Ciao Mondo, ultimo tecnico di un Toro che non c’è più

E' mancato questa mattina, dopo una lunga malattia, Emiliano Mondonico. Prima giocatore e poi allenatore di un Torino tremendista, passerà alla storia per la sedia alzata al cielo di Amsterdam

Ciao Mondo, ultimo tecnico di un Toro che non c’è più

Il suo cuore granata ha smesso di battere qualche ora fa. Dopo aver lottato con indomito coraggio negli ultimi anni contro un male subdolo, la bestia" come la chiamava lui, alla fine Emiliano Mondonico si è arreso. Pochi giorni dopo aver festeggiato i 71 anni.

Prima giocatore e poi allenatore di un Toro che conosceva il valore della parola tremendismo, in panchina ha saputo raggiungere quei risultati che in campo aveva mancato perché da ragazzo non aveva spirito di sacrificio e preferiva fingersi malato per scappare a Milano ad assistere a un concerto dei Rolling Stones piuttosto che allenarsi. Lui che era arrivato con l’etichetta di nuovo Meroni, della Farfalla Granata aveva la sregolatezza ma non i colpi di genio e passò come una meteora. Da allenatore, invece, ha lasciato il segno e a lungo.

Dopo essersi fatto conoscere a metà degli anni Ottanta, conducendo la Cremonese ad una storica promozione in serie A, lanciando nel calcio che conta il talento di un certo Gianluca Vialli, per un triennio guidò l’Atalanta portandola a risultati incredibili. Partendo dalla serie B gli orobici arrivarono alla seminfinale di Coppa delle Coppe e sul campo si guadagnarono la qualificazione in Uefa per due anni. Il giocatore simbolo dell’Atalanta del Mondo fu lo svedesone Stromberg, i suoi risultati gli valsero i complimenti pubblici di un certo Maradona e nell’estate del 1990 arrivò la chiamata del Toro, che era appena tornato in A e sognava in grande, dopo aver soffiato al Real Madrid il talento spagnolo Rafael Martin Vasquez.

Il Toro di Mondonico, soprendendo tutti, arrivo a qualificarsi per l’Europa da neopromosso a spese della Juve di Maifredi. Una cosa impossibile, nel calcio moderno. In una squadra ricca di talenti, la stella era il giovane Gigi Lentini, che Mondonico seppe trasformare da promessa a migliore esterno d’attacco del calcio italiano, degno erede di Meroni e Claudio Sala con la maglia numero 7 sulle spalle. La stagione successiva, oltre a salire fino al terzo posto della classifica, Mondo pilotò il Toro ad una straordinaria cavalcata Uefa: epica la doppia semifinale contro il Real Madrid: sconfitti 2-1 al Bernabeu, al ritorno, in un Delle Alpi esaurito e colorato di granata, Lentini e compagni vinsero 2-0 e volarono in finale. Dove solo i tre pali di Amsterdam impedirono di trasformare il sogno in realtà. Oltre ad un rigore negato nel primo tempo, che fece imbestialire Mondonico: il gesto della sedia sollevata al cielo è l’immagine simbolo del Mondo e di un Toro che grida contro l’ingiustizia del destino.

I problemi economici del presidente Borsano portarono nell’estate del ’92 allo smantellamento di quella squadra: via Cravero, Plicano, Vasquez, soprattutto via Lentini, passato al Milan dopo una interminabile querelle estiva. Pur indebolito, il Toro di Mondonico seppe però confezionare un’altra piccola grande impresa, vincendo la Coppa Italia. Dopo aver eliminato la Juve in seminfinale, nella doppia finale contro la Roma al 3-0 del Delle Alpi fece seguito il 5-2 giallorosso del ritorno, con le reti di Silenzi ad evitare una clamorosa beffa, che l’arbitraggio dell’ineffabile Sguizzato, che aveva concesso ben tre rigori alla Roma, stava rendendo possibile.

Quella è stata l’ultima volta che il Toro ha alzato al cielo un trofeo. Nell’estate del 1994 Mondonico lasciò il Torino, dopo l’arrivo alla presidenza di Calleri, che aveva venduto tutto, anche la sede sociale, preferendo ripartire dalla serie B con l’Atalanta. Avrebbe fatto il percorso inverso quattro anni dopo, riportando in A i granata nell’anno del cinquantesimo anniversario della tragedia di Superga. I problemi economici di una società debole, per non dire inesistente, portarono ad una amara retrocessione nel maggio del 2000. E l’addio del Mondo al Toro stavolta fu definitivo. Ma non quello al grande calcio. Seppe riportare in serie A la Fiorentina ripartita dopo il fallimento nel 2004, poi andò a guidare l’AlbinoLeffe per puro divertimento, perpoter restare dalle parti di Bergamo, provò a salvare il Novara all’inizio del 2012. Poi lasciò la panchina per iniziare a combattere la partita della vita.

Sembrava aver sconfitto il cancro, ma quel male subdolo è tornato a fargli compagnia un anno fa. E alla fine l’ha avuta vinta.

Chi scrive, conosceva Mondonico da una ventina d‘anni. Tanti i ricordi, le chiacchierate, qui vogliamo solo ricordare l’ultima, vecchia di appena due mesi. Una prima volta non si era potuto perché il Mondo stava male, ma a noi non aveva potuto dire di no. E allora si era parlato di Toro, di una squadra che, a differenza dei suoi tempi, il derby spesso non lo giocava neanche, oltre a perderlo sempre.

Noi ci sentivamo come gli indiani contro i cow boys, questa l’ho detta tante volte. Il vero guaio è che La Juve, oltre ad essere più forte, ha iniziato a giocare da Toro, mentre questo Torino non è più il Toro”.

E me lo diceva mentre andava a trovare in istituto l’anziana mamma di quasi 100 anni.

L'anno scorso, a fine maggio, in occasione della rinascita del Fila, aveva spiegato l'importanza di quel luogo sacro: "Allenarsi qui significa avere dieci punti in più in classifica. Io che sono stato l'ultimo allenatore di un Toro che lavorava qui lo so bene".

Ma allora il Mondo aveva a disposizione calciatori che sapevano cosa significasse indossare la maglia granata, a differenza di molti attori di oggi. O forse c'era anche un allenatore capace di far passare certi messaggi, di spiegare con l'esempio,cosa che non è riuscita all'ultimo Ventura, a Mihajlovic, oggi a Mazzarri.

Ciao Mondo, che la terra ti sia lieve. Ora la sedia la solleverai da lassù, seduto tra Meroni e capitan Valentino.

Massimo De Marzi

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