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In Breve

| 05 aprile 2019, 07:32

Usi e costumi a ridosso delle balconate, con la Filadelfia come unica protagonista

Foulard, chiodi, raf, spille e simboli dei gruppi: vestiti e "codici" quando la vita di tutti i giorni rimaneva chiusa fuori dai cancelli dello stadio, almeno per qualche ora

Usi e costumi a ridosso delle balconate, con la Filadelfia come unica protagonista

Le mode si susseguono. Spesso ritornano, come un boomerang. Capi d’abbigliamento, oggetti e consuetudini, caratterizzano spesso un’epoca. Emblemi generazionali, nel bene e nel male. La chiave inglese rimanda, nell’immaginario collettivo, agli anni di piombo, al sangue sul selciato di quei giovani caduti in agguati perpetuati in nome di un’Idea. 

Così come, a ricordo di un momenti meno cruenti, i flipper e i juke box, identificano l’epopea dei Teddy Boys dal capello impomatato e col pettine nella tasca posteriore dei jeans. 

Classico del ragazzo di borgata o periferia, il pacchetto di Marlboro avvolto rigorosamente nella manica della t-shirt bianca. O rigorosamente bianconera, se indossata per raggiungere le balconate della Filadelfia.

Il ricordo riporta a quella coda ai cancelli, spesso baypassata scivolando all’interno dello stadio dalla carraia o, nel peggiore dei casi, scavalcando dalle piscine. 

L’antistadio, che una volta raggiunto, appariva come l’Eden, il regno domenicale in cui il grigio trambusto della vita di tutti i giorni veniva confinato oltre il cancello. 

La rampa di scale, anticamera della balconata, era la scalata verso la vetta. 

Là splendeva il ‘nostro’ sole. Quello che attendevamo tutta la settimana, smaniosi che i suoi raggi illuminassero il contrasto dettato dal dualismo di colori. Bianco e nero, con una pennellata tricolore adagiata sugli stessi.

Su quei giovani, osservati oggi attentamente dalle fotografie dell’epoca, spiccano i simboli identificativi di un’era e del suo modus vivendi. 

Sui loro volti, a nasconderne le fattezze, i foulard, capi d’antan al cui centro spiccava l’emblema del Gruppo. Un capo utilizzato per arginare il fumo di torce e fumogeni, ma anche il gas dei lacrimogeni della Polizia, non così saltuari nei pre partita di quegli anni. 

Le pins, all’epoca ‘le spille’, armonizzavano il colore della pelle scura e liscia dei chiodi e raf, capi d’abbigliamento onnipresenti sulle gradinate.

Le patch, ‘toppe’ nel gergo grossolano e rigorosamente ‘italico’, le si poteva osservare cucite in ogni dove. Non solo su capi sgualciti e usurati dal tempo. Erano il compendio, il senso dell’appartenenza. 

Presenti ovunque, persino sulla tolfa, precursora dell’odierno zainetto. 

Poi, subito dopo la tempesta di coriandoli all’avvenuta lettura delle formazioni, il fumo acre e denso dei fumogeni calava il sipario sui singoli, spostando i riflettori su un’unica protagonista: la Curva Filadelfia. 

Beppe Franzo

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