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In Breve

| 03 settembre 2019, 06:00

30 anni fa ci lasciava Gaetano Scirea, il fuoriclasse gentiluomo

Campione di stile e signorilità in campo e fuori, mai un cartellino rosso in tutta la carriera, pur giocando da difensore. E’ stato il miglior libero della storia del calcio assieme a Beckenbauer e Baresi

30 anni fa ci lasciava Gaetano Scirea, il fuoriclasse gentiluomo

Era sera e la notizia fu data a tutta Italia da La Domenica Sportiva, dalla voce roca e inconfondibile di Sandro Ciotti. In studio c’era il suo compagno di mille battaglie, Marco Tardelli, che rimase sconvolto e lasciò il programma.

Era il 3 settembre del 1989. Sono passati trent’anni da quel giorno in cui un tremendo incidente d’auto in Polonia, dove si era recato per andare a visionare gli avversari della sua Juve in Coppa Uefa, portò via Gaetano Scirea alla vita e al calcio. Un dolore tremendo per sua moglie Mariella e il figlio Riccardo, ma anche per gli appassionati di calcio. Perché l’esemplare correttezza di Gaetano, nello sport ma anche nella vita, aveva saputo conquistare tutti, senza distinzione di maglia e di tifo.

Pur giocando da difensore centrale, come si dice oggi, non è mai stato espulso in oltre 700 partite da professionista. Perché faceva della pulizia degli interventi, dell’anticipo e dello stile le sue armi. Gai, come lo chiamavano i compagni, nato come centrocampista per la sua qualità e la capacità di impostare il gioco, era stato arretrato nel ruolo di libero ai tempi della Primavera dell’Atalanta, quando faceva coppia con Antonio Percassi, da qualche anno divenuto il patron degli orobici. Arrivato alla Juve nel 1974, per sostituire un mostro sacro come “old Billy” Sandro Salvadore al centro della difesa, Scirea ha vinto tutto con la maglia bianconera, ereditando dall’amico e compagno Dino Zoff la fascia di capitano nell'83.

Come il portierone friulano, forse ancora più di lui, era taciturno e silenzioso, ma Antonio Cabrini e Claudio Gentile, due componenti di quella favolosa squadra, hanno ricordato a chi scrive: “Parlava poco Gai, ma quando lo faceva tutti stavano zitti nello spogliatoio, nessuno osava replicare”. Era un leader che guidava con l’esempio, la serietà e il lavoro. Garbato e pacato anche nelle dichiarazioni del dopo gara, rifuggeva gli eccessi verbali e non amava le luci della ribalta.

Lo ricordiamo alzare al cielo tante volte le braccia dopo innumerevoli vittorie, anche alcune coppe internazionali. Ma lo ricordiamo anche, con un sorriso tirato, scendere le scale dell’aereo con in mano la Coppa dei Campioni, il giorno dopo la tragedia dell’Heysel, i morti e la scia di sangue che quella partita col Liverpool si era portata dietro.

Per dieci anni è stato grande protagonista anche in azzurro, prendendo il posto di un altro fuoriclasse gentiluomo come Giacinto Facchetti. Rivelò tutta la sua grandezza nel Mondiale argentino del 1978, in cui la nazionale di Bearzot incantò tutti ma giunse solamente quarta, rifacendosi nell’82 in Spagna, con quel titolo che ancora oggi viene giustamente esaltato. Scirea era il “ministro della difesa” di quell’Italia che seppe battere, in sequenza, Argentina, Brasile, Polonia e Germania.

Con la sua capacità di uscire dall'area, palla al piede, con la capacità di marcare d’anticipo, senza ricorrere a falli o rudezze, mai un comportamento sopra le righe, mai una protesta plateale, si rivolgeva al direttore di gara chiamandolo “signor arbitro”. Certe sue immagini andrebbero fatte rivedere ad alcuni mezzi giocatori di oggi, che accerchiano i fischietti, li intimidiscono, spesso li ricoprono di insulti. Restando anche impuniti.

Durante i derby, che erano caldissimi in quegli anni, perché profumavano di scudetto da entrambe le parti, la rivalità era forte, anche i toni di certi cori e di alcuni striscioni. Scirea e Zoff sono sempre stati risparmiati da ogni becerume da stadio perché giustamente considerati irreprensibili come uomini, prima ancora che come calciatori. Proprio Zoff, diventato allenatore della Juve nell’estate del 1988 al posto di Marchesi (per essere poi sostituito dall’improponibile Maifredi due anni dopo), chiamò al suo fianco il compagno di tante avventure, che aveva appena lasciato il calcio giocato.

Scirea divenne il suo braccio destro e proprio per andare a servire l’amico Dino trovò la morte, in una domenica di inizio settembre in Polonia. A lui la Juve dedicherà le vittorie conquistate nella primavera del 1990 prima in Coppa Italia e poi in Coppa Uefa. Assieme al mitico Beckenbauer e a Franco Baresi, è stato il miglior libero della storia del calcio, avendo dato una interpretazione moderna ad un ruolo che fino agli anni Settanta era solo prettamente difensivo.

Chissà che cosa direbbe del cervellotico calcio d’oggi un signore d’altri tempi come Scirea, forse ne sarebbe rimasto lontano, disgustato, non condividendone gli eccessi, la maleducazione, la mancanza di stile di molti dei suoi protagonisti. E chissà cosa avrà pensato, da lassù, di quell'ignobile scritta comparsa l'anno scorso sui muri dello dello stadio Franchi, vergata da stupidi e ignoranti tifosi della Fiorentina, che gli auguravano di bruciare all'inferno.

La vedova Mariella (che aveva attaccato la curva bianconera che porta il nome di Scirea, dopo che era stata protagonista di cori razzisti), di getto disse di non poterli perdonare. Chissà se Gaetano lo avrebbe fatto.

Massimo De Marzi

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